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714 | Chi l’ha detto | [1972-1973] |
che sono di Vincenzo Monti, nella tragedia Aristodemo (a. II, sc. 7). E a proposito della antica popolarità dell’Aristodemo, già ripetutamente citato in queste pagine, così argutamente scriveva il dott. Cesare Musatti in un brioso articolo Dal palcoscenico alla bocca, del popolo, pubblicato nel Mente e cuore di Trieste, del 1° aprile 1896: « Dove lascio il Ben ti riveggo con piacer Lisandro (a. I, sc. 1) che gli esce (al popolano di Venezia) in tuono di scherzo abbattendosi in un amico che da vario tempo non vede; e il Sì Palamede (a. I, sc. 1) quando risponde su chicchessia in modo affermativo; tolti entrambi dall’Aristodemo, così popolare che butarla in Ristodemo denota anche oggi prendere una faccenda sul serio, anzi in tragico addirittura.»
Ecco un verso abbastanza conosciuto di Giacomo Leopardi
1972. Non so se il riso o la pietà prevale.
ed eccone un altro del Manzoni:
1973. Ahi sventura! sventura! sventura!
a proposito del quale si narra un faceto caso. Quando il 18 febbraio 1853 l’ungherese Libenyi ferì di coltello in Vienna l’imperatore Francesco Giuseppe senza ucciderlo, perchè l’arma si spuntò sulla fibbia del collarino, la sera stessa che ne giunse la notizia a Milano, Tomaso Grossi, intimo del Manzoni, veniva in casa di lui, e lo avvertiva con viso composto a gravità, che per Milano girava una satira allusiva all’attentato, e di cui era ritenuto autore il Manzoni medesimo, sapendosi scritta da lui certamente la prima metà di essa. Il Manzoni, che evitò sempre brighe politiche, si turbò e non poco, e protestando di non saperne nulla, domandava maggiori particolari all’amico, il quale, dopo essersi fatto molto pregare, acconsentì a recitare la satira.... che era di soli due versi:
Ahi sventura! sventura! sventura!
Perchè c’era una fibbia sì dura?
L’aneddoto è narrato con qualche varietà di racconto (anche il secondo verso direbbe: Lo colpì nella parte più dura) dal com-