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508 Chi l’ha detto? [1502]


gli altri argomenti speciosi ch’egli recava in difesa delle opinioni antiliberiste, primeggiava questo, di sapere se l’uomo posto fra due moventi opposti e di egual peso, può decidersi indifferentemente per l’uno o per l’altro: se non può, cessava il libero arbitrio, se si ammette che possa, l’azione stessa della scelta diventa impossibile, essendo senza ragione e senza scopo. Come infatti scegliere fra due partiti per i quali proviamo una pari indifferenza? Quindi il nome di Buridan è rimasto anche al sofisma, che ci mostra un asino morente di fame fra due misure di avena ugualmente lontane da lui, o morente di fame e di sete fra una misura di avena e un secchio d’acqua, mentre la povera bestia è tormentata da questi due bisogni in grado uguale. Ma si cercherebbe invano questo sofisma nelle opere del celebre nominalista, nè è facile di dire quale potesse esserne l’uso da lui fatto, perchè Buridan poneva in discussione il libero arbitrio dell’uomo e non quello degli animali che nessuno pensava di difendere: quindi è piuttosto da credersi con Tennemann (Histoire de la philosophie, to. VIII, 2e part.) che questo sofisma celebre sia stato immaginato dagli avversari di lui per mettere in ridicolo le sue teorie. Ed egualmente dovremo relegare fra le leggende quella che ci mostra Buridan nelle orgie della Torre di Nesle, fra le braccia di Giovanna di Navarra, moglie di Filippo il Bello, e sfuggito per miracolo alla morte cui la impudica regina condannava, per eccesso di prudenza, i suoi amanti di un giorno facendoli gettare chiusi in un sacco nella Senna. Secondo questa leggenda Buridan, nell’asino famoso, avrebbe alluso a sè medesimo, oscillante fra le grazie della regina e quelle di una dama di lei e compagna di dissolutezze. Ma basta a mostrare il nessun fondamento di questa storiella di ricordare che la regina Giovanna morì in tarda età nel 1305, quando Buridan era ancora molto giovane.

Del resto il dilemma di Buridan non era nuovo nella storia della filosofia: vi accennava già Aristotile (Περὶ οὐρανοῦ, 2, 13). San Tomaso svolgeva il medesimo dubbio, senza darne una soluzione soddisfacente, nella Summa theologiæ, pars I secundæ, qu. XIII, art. 6, e infine l’Alighieri vi accennava nei versi:

Intra due cibi, distanti e moventi
          D’un modo, prima si morrìa di fame,
          Che liber uomo l’un recasse ai denti.