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344 | Chi l’ha detto? | [1048-1051] |
e la morte di un superbo, colpito dalla mano del fato, è ben dipinta dall’Ariosto:
1048. Bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa
Che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.
Così, con la morte di Rodomonte ucciso da Ruggero, finisce il poema del gran ferrarese. Si confronti con la fine dell’Eneide (c. XII, v. 952) e la morte di Turno:
Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbris.
E a proposito di Rodomonte, non sarà inutile di ricordare, che il suo nome, cui l’Ariosto dette tanta fama, è passato in proverbio a indicare un millantatore, uno spaccone, un
1049. Miles gloriosus.1
che è poi il titolo di una commedia di Plauto la quale narra le gesta dell’ineffabile Pirgopolinice, nome passato pur esso in proverbio. La gara delle mondane vanità è con frase moderna espressa nel titolo scultorio dato da Guglielmo Thackeray a uno dei suoi migliori romanzi, pubblicato nel 1847:
1050. Vanity Fair.2
che per altro il Thackeray tolse a un racconto di Bunyan della serie The Pilgrims Progress (1678-1684). A conforto dei vanitosi si può osservare che
1051. La vertu n’irait pas loin, si la vanité ne lui tenait compagnie.3
Anche Seneca dice: «Tolle ambitionem et fastuosos spiritus, millos habebis nec Platones, nec Catones, nec Scævolas, nec Scipiones, nec Fabricios.»