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l’attenzione dell’ambasciatore e del governo austriaco, il quale fece chiedere al governo italiano, allora presieduto dall’on. Fortis, spiegazioni in forma che si disse molto recisa, insistendo l’Austria sulla gravità delle parole pronunciate da un’alta autorità come quella del presidente della Camera italiana. Le trattative non furono nè brevi nè facili e finalmente l’incidente fu chiuso con un comunicato dell’ufficioso giornale di Vienna Fremdenblatt del 25 agosto (riprodotto nei giornali italiani del giorno successivo), nel quale si annunciava che il governo italiano, «dopo di avere inteso il presidente, della Camera che escluse ogni intenzione irredentista, ma tenendo conto del penoso risentimento propagatosi in Austria-Ungheria si affrettò ad esprimere colla lealtà che lo distingue al nostro rappresentante in Roma il sincero rincrescimento del governo italiano a tale riguardo». L’incidente si era chiuso assai meglio che per Sebastiano Tecchio il quale essendo presidente del Senato, commemorando il trentino Giovanni Prati nella tornata del 12 maggio 1884, aveva parlato del pensiero crudele che inacerbiva l’animo del Prati, la servitù delle balze native, del suo voto che «il Trentino fosse tolto agli estranei, e alla madre patria restituito», della fiducia che l’Italia com’egli l’augurava, abbia ad essere tutta nostra. Il Depretis obbligò il Tecchio a dimettersi, ciò ch’egli fece il 16 luglio, motivando con la grave età e la malferma salute le dimissioni che però, a mascherarne le ragioni vere, non furono accettate che con decreto del 27 novembre.

Sorvoliamo sulle terre della Venezia propria: non si dica il Veneto, brutta parola entrata in uso come ingrata memoria della consuetudine austriaca che chiamava le provincie venete e lombarde il Lombardo-Veneto (il regio decreto del 19 maggio 1912 che sopprimeva gli antichi commissari distrettuali delle provincie venete e istituiva le nuove sottoprefetture, vi sostituiva ufficialmente il nome di Venezia); ricordiamoci pure che questa ubertosa regione fu ben descritta da Giovanni Rucellai nel poemetto didascalico Le Api (v. 54-56):

972.                                       ....(Del) Il bel paese,
Ch’Adige bagna, il Po, Nettuno e l’Alpe
Chiudon....