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250 | Chi l'ha detto? | [778-780] |
Un altro classico ammonisce che è delle donne il pianto, ma degli uomini il ricordarsi delle patite offese:
778. Feminis lugere honestum est, viris meminisse,1
Sono le ingiurie rimaste impunite che eccitano il cuore umano alla vendetta. In quante anime esacerbate non ebbe un’eco profonda la terribile apostrofe di Rigoletto nel melodramma omonimo di F. M. Piave, il capolavoro musicale di Verdi (a. II, sc. 8):
779. Sì, vendetta, tremenda vendetta,
Di quest’anima è solo desio....
Di punirti già l’ora s’affretta,
Che fatale per te tuonerà!
Il pensiero della vendetta può far sembrare dolce anche la morte, se chi scende nel sepolcro porta seco la speranza che
780. Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor!2
Essa è la imprecazione di Didone contro Enea. Una leggenda abbastanza diffusa vuole che scrivesse questo verso col suo sangue sulle mura della prigione, dove era stato rinchiuso da Cosimo I de’ Medici, Filippo Strozzi prima di uccidersi; ma il fatto, se pure vero nel fondo, non è narrato esattamente, poichè in modo ben diverso è esposto il caso nella Vita che di Filippo Strozzi scrisse il fratello Lorenzo (Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiæ del Grevio, to. VIII, parte II). Filippo, caduto prigione dei Medici dopo la rotta di Montemurlo (1538), e rinchiuso nel castello di Firenze, era stato per ordine di Carlo V messo alla tortura perchè confessasse la complicità sua o di altri nell’uccisione del Duca Alessandro: e avendo sopportato con forte animo 15 tratti di corda, dovendo essere ancora tormentato, si sarebbe ucciso con la spada di una delle guardie, lasciando di sua mano scritte le sue ultime volontà, così firmate: