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244 Chi l'ha detto? [756-758]


cenda, non più ai romani pensamenti del vincitore d’Annibale, ma alla medievale psicologia dei trasognati servi di Amore. E tale invero Dante descrive se stesso (nella Vita Nuova).»

Le arti vogliono un genio, un’attitudine speciale: ad esse più direttamente alludeva Orazio quando ammoniva che

756.   Tu nihil invita dices faciesve Minerva.1

( Orazio, Arte poetica, v. 385).

e lo stesso concetto esprimeva un poeta veronese del settecento nei noti versi:

757.   [Che] A chi natura non lo volle dire
      Nol dirian mille Ateni e mille Rome.

(Gio. Agost. Zeviani, La Critica poetica,
Verona, 1770-73, to. I, son. XXIV).

Dello Zeviani parlò Gius. Biadego in Pagine sparse di storia letteraria veronese del sec. XVIII (Nozze Bolognini-Sormani, Verona, 1900), nello studio intitolato: Un poeta critico. Lo Zeviani con questi versi intendeva mostrare quanto si sentisse impacciato volendo definire l’eleganza dello scrivere.

Questo genio è quello che spingeva il Correggio alla celebre esclamazione:

758.   Anch’io sono pittore.

innanzi alla S. Cecilia di Raffaello a Bologna. A proposito di che il P. Luigi Pungileoni nelle Memorie istoriche di Antonio Allegri detto il Correggio, vol. I (Parma, 1817), a pagina 60, scrive: «Avrebbe del pari a scrivere assai chi volesse andare vagando per le lettere del P. Resta, il primo forse ad affermare che la dotta Felsina a sè lo trasse per additargli la Santa Cecilia, alla cui vista, si dice, stupì ed esclamò: Son pittore ancor io. Ogni probabilità vuole che si creda questo detto di conio italiano, riportato di poi come certo da più d’un autor francese. Evvi stato chi bonariamente supponendo ciò vero gli ha data la taccia di superbo, taccia ingiusta, quand’anche gli fossero uscite dal labbro queste od altre parole d’ugual valore, abbandonato ad un impeto subitaneo;


  1. 756.   Nulla dirai farai a dispetto di Minerva.