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186 Chi l’ha detto? [618-619]

Allora, pure in espiazione del fallo commesso, ed in suffragio della vittima innocente, sarebbesi incominciato ad illuminare con due lampade durante tutta la notte, e con due torce durante il tocco dell’Avemaria, l’immagine della Madonna, che dall’alto della chiesa di S. Marco domina la Piazzetta. Ma lo Stringa, continuatore della Venetia città nobilissima ecc. del Sansovino, ricorda che a’ suoi tempi accendevasi una lampada soltanto, e attribuisce l’origine del pio costume al lascito di un capitano mercantile dalmata, il quale venendo da Chioggia a Venezia, e sorpreso dalla notte e dalla nebbia, dovè la sua salvezza al chiarore di un lumicino acceso dinanzi a quella immagine. Una tradizione simile è diffusa anche in altre parti d’Italia e si applica con lievi varianti ad altre pie consuetudini. Del resto l’obbligo di accendere tali lampade è compreso tuttora nella massa dei fondi della Zecca assegnati alla odierna fabbriceria di S. Marco.

La pietosa fine del Fornaretto è vivissima, come si è detto, nella tradizione popolare, ma non è autenticata dai registri Criminali, nè dalle Raspe (registri delle deliberazioni della Quarantìa), nè si trova ricordata nei minuziosi Diari del Sanuto. Però è segnata in tutti i così detti Registri dei Giustiziati, compilazioni private di età diverse, che si trovano manoscritte nella Biblioteca Marciana ed altrove. Forse il fatto seguì in altro anno di quello comunemente assegnato, e del quale mancano i registri ufficiali (Tassini, Alcune delle più clamorose condanne capitali eseguite in Venezia sotto la Repubblica, 2ª ediz., Venezia, 1892, p. 100-102). Esso ha fornito l’argomento a un dramma di Francesco Dall’Ongaro.

Altre frasi alludono a storte opinioni di giudici, quali le due seguenti:

618.   Judex damnatur ubi nocens absolvitur.1

(Publilio Siro, Mimi, n. 257, ed. Wölfflin et Ribbeck: n. J. 28, ed. Meyer).

619.   Purchè ’l reo non si salvi, il giusto pera
E l’innocente.


  1. 618.   L’assoluzione del colpevole è la condanna del giudice.