[520-521] |
Fortuna, fato |
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Juven. X, 274), che altri attribuiscono a Ausonio (Ausonio, Septem sap., 20. Sch. 56).
Anche Sofocle così dà termine all’Edipo Re (versione di Felice Bellotti):
.... Al giorno estremo
Però guati il mortale; e mai felice
Non tenga l’uom, pria che d’affanni scevro
Tocco non abbia della vita il fine.
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Alle quali sentenze degli antichi avvicineremo il verso del Petrarca:
520. La vita el fin e ’l dì loda la sera.
di cui nonostante l’anfibologia del costrutto, è chiaro il senso dopo quanto abbiamo detto avanti.
Corollario di questo sentimento che il giorno della lode non possa essere che l’ultimo della vita, è l’altro detto antico:
521. Dio ti guardi dal giorno della lode.
che si trova registrato come proverbio a pag. 203 della
Raccolta di proverbi toscani del
Giusti, ed. del 1853; ma che sia proverbio stenterei a crederlo e l’autorità della disgraziatissima raccolta del Giusti non ha nessun peso in materia. In ogni modo può esser divenuto proverbio, ma non è nato tale, chè il pensiero vi è troppo letterariamente involuto.
Giovanni Prati ne fece il primo verso del Canto
In morte di Alessandro Manzoni (Firenze, Barbèra, 1873), stemperandone il concetto in queste due quartine:
Dio ti guardi dal dì della lode,
Che ogni labro, ogni cor ti rammenti!
Anco fossi il più giusto, il più prode,
Su te vivo non sorge quel dì;
Converrà che tu polve diventi,
Che tu lasci ogni cosa più cara,
Perchè tutti t’assiepin la bara,
Idolatri del dio che fuggì.
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