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[346] | Costanza, fermezza, perseveranza | 97 |
suiti, Claudio Acquaviva, il quale nel suo famoso libretto: Industriæ ad curandos animæ morbos (Florentiæ, 1600 e molte altre edizioni successive) dice: «Fortes in fine consequendo et suaves in modo et ratione assequendi simus» (verso la fine del cap. 2: De suavitate et efficacia in gubernatione coniungendis). È chiara la reminiscenza biblica del libro della Sapienza (cap. VIII, v. 1): «Attingit ergo a fine usque ad finem fortiter et disponit omnia suaviter.»
Non molti anni più tardi c’imbattiamo nel famoso:
346. Eppur si muove!
che la leggenda voleva detto da Galileo quando, dopo aver letto in ginocchio l’abiura delle sue dottrine cosmografiche innanzi agli Inquisitori, sorse vacillando in piedi (22 giugno 1633). Ma di queste parole non si trova traccia negli scrittori del secolo XVII, comparendo soltanto in quelli della fine del settecento. Lo scrittore più antico che ne faccia menzione, finora conosciuto, è il Baretti nella Italian Library, London, 1757, pag. 52: non si conoscono finora autorità più antiche a stampa. Tuttavia è probabile, come ritiene il prof. Antonio Favaro, di cui è nota la profonda conoscenza di quanto riguarda la persona e gli studi di Galileo, che la leggenda, orale o scritta, risalga alla prima metà del secolo XVII, cioè sia di poco posteriore all’anno 1633: ed a ciò lo conforta, con altre ragioni, la scoperta di un quadro, firmato dal Murillo, e che può realmente assegnarsi a lui e con la data, a quanto sembra, del 1645, nel quale il motto famoso è ripetuto (ved. un articolo del Favaro nel Giornale d’Italia, del 12 luglio 1911). L’Eppur si muove ha già una piccola bibliografia, ma tutti coloro che se ne occuparono, furono concordi nel negarne la autenticità. Il primo che abbia formulato pubblicamente i suoi dubbi a tale proposito fu il dott. E. Heis, professore all’Accademia di Münster, con una nota inserita negli Annales de la Société scientifique de Bruxelles, 1876. Omettendo gli scrittori sulla vita di Galileo in generale, e sul suo processo in particolare, che quasi tutti si occuparono della questione, citerò soltanto un articoletto del compianto A. Bertolotti nel giornale popolare Il Mendico di Mantova, del 1º settembre 1866; un altro articolo nell’Intermédiaire des chercheurs et des curieux (année XXII, 1889, col. 78-80), e la risposta di Gilberto Govi nello