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la poesia di catullo. | 77 |
In Lucrezio prende la forma insegnativa, e vorrebbe imporsi; in Catullo doventa lirica e vuol soltanto piacere.
Nel primo la dottrina diventa poesia, perchè attinge vigore dal fatto; nel secondo è il fatto stesso che si manifesta nudo e crudo nella poesia: là c’è il filosofo che studia la natura e il poeta che inneggia alla voluttà:
Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas;1 |
qui c’è l’uomo che sperimenta la vita e si effonde spontaneamente nel canto: l’uno ha dinanzi la scuola, la società, a cui insegna; l’altro non ha intorno nessuno, ha soltanto sè stesso, non si preoccupa nè d’uditori nè di lettori; è solo con l’anima sua, e l’anima sua è uno specchio. Entrambi amano: quegli l’eterna natura, questi la creatura che passa.
Presso i Greci l’amore è pura sensualità, è anelito, è tremito di membra, sudor freddo, languore, abbandono,2 è l’ideale del senso. I Romani vanno più in là, fino in fondo; come Cesare che penetra nelle sacre foreste dei Galli, non s’arrestano alle prime conquiste, si sprofondano fin negli abissi della materia. Cornelio Gallo canta:
Conde papillas, quæ me sauciant |
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