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76 | la poesia di catullo. |
Nel sublime egoismo dei primi versi del 2° libro c’è tutta la vita del popolo romano, di questo popolo che annienta ogni credenza, ogni sentimento umano, ogni fantasia per la sola voluttà d’un trionfo, c’è tutta la storia della sua libertà e della sua grandezza, edificata sulla schiavitù e sulla rovina degli altri popoli.
V.
Tutta la vita romana d’allora s’era, per così dire, riconcentrata in un solo momento, in una sola frase, nel carpe diem. E come un presentimento della prossima rovina. Per Cesare quella frase vuol dire: regnare; per il popolo dimenticare, per i patrizi gozzovigliare, godimento per tutti; al domani ci pensi chi vuole:
Crasd moriemur, post mortem nulla voluptas.1 |
E Calullo traduce:
Soles occidere et redire possunt: |
Che importa a noi del domani?
Vivamus mea Lesbia, atque amemus.3 |
I vecchi borbotteranno, ma noi c’infischieremo delle loro querele: unius extimemus assis. Se Catone c’è ancora, egli non è che un pazzo, egli grida al deserto.
Questo doloroso momento della vita d’un popolo glorioso viene a riprodursi naturalmente nella scienza e nell’arte.