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la poesia di catullo. 71



II.


Quando il vecchio Ennio tentava dare ai Romani la loro epopea, Scipione precorreva Cesare; si poteva dire sin d’allora ciò che ebbe a dire più tardi Catilina: Io veggo nella repubblica una testa senza corpo e un corpo senza testa. Scipione, Silla, Mario, Pompeo e Catilina diventarono più tardi un uomo solo, e si chiamarono col nome di Cesare.

L’epopea fu più tardi tentata ai tempi d’Augusto, e poi di Nerone; il poema di Virgilio adulò le genealogie dei Romani e cercò di abbellire quel connubio della civiltà romana con l’orientale, che era stato funesto alla libertà. Lucano e più tardi Silio Italico restarono schiacciati dai loro soggetti.

La grandezza stessa dei fatti romani escludeva la epopea. L’arte è per natura indovina. Togliete all’arte l’ignoto, ed essa doventa storia; Omero doventa Tucidide. Il maraviglioso presso i Romani era il vero. Lo splendore delle loro gesta poteva esser fissato dalla lirica, abbracciato dall’epopea no. Omero poteva indovinare; Ennio non doveva che narrare, cessava d’esser poeta. Fatemi un’epopea di Waterloo: è impossibile: il vero è là che v’ingoia.

Nè i Romani, gente positiva erano nati fatti per l’illusione poetica. Erano troppo superbi per non si credere canzonati. Vivevano nel reale, foss’anche il fango. Nè la drammatica fece prove migliori. Di Plauto piacquero i lazzi e le oscenità al popolo corrotto, mentre