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46 | la vita di catullo. |
non senza aver prima invocato l’esempio di Giunone, di lei
che incede |
E questo mendicar di scuse e d’esempi è prova manifesta, che il sentimento della propria dignità non era in lui morto del tutto; il suo cuore non era tanto abbietto da sdraiarsi, dimenticandosi, nel disonore. A ogni modo egli credea potersi rassegnare, essersi di già rassegnato: era appunto questo il suo inganno; conoscea male il suo cuore. Tornato a Roma s’accorge che i furti di Lesbia non sono nè così cauti nè così rari, com’egli sperava. La corruzione di quella femmina avea rotto ogni limite, calpestato ogni riguardo, vinto ogni modo, ogni freno. L’anima di Catullo riarde; l’amore, la vergogna, la compassione, la rabbia gli afferrano il cuore ad un punto. Lesbia ha perduto ogni pudore; ha la sete, l’ebbrezza, la manìa del vizio; si voltola pazzamente nel fango. Catullo perde il senno anche lui, non sa più quello che si faccia: corre ai ginocchi di Quinzio, e lo scongiura a non disputargli il cuore di colei, che gli è più cara degli occhi e della vita;2 si querela sdegnosamente di Rufo, che sulla pura
Bocca di lei biascia i suoi sozzi baci;3 |
lancia una fiera minaccia a Ravido, che ha avuto il co-