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la vita di catullo.

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altro che un tornaconto e un tranello. Si abbandonò nelle braccia di lei nell’effusione della riconoscenza, con l’entusiasmo dell’illusione; tirò un velo sui torti ricevuti, dimenticò tutti i passati dolori; s’illuse nuovamente a tal segno da reputarsi l’uomo più felice del mondo.1

Quest’illusione però non potea lungamente durare. Catullo l’avea detto: la stima era morta; restava il senso soltanto. Ben si può nelle fiere ebbrezze della voluttà dimenticare quella parte di noi, che volgarmente chiamiamo lo spirito, ma egli è positivo, nè può revocarsi in dubbio, che la materia si stanca assai prima dell’anima; e un amore che non si purifica e rafforza nelle serene idealità del cuore, non dura, nè può durar mai lungo tempo. Dura forse un amore, dirò anzi di più, è mai possibile un amore, che si alimenti di pura idealità? I nostri poeti del Medio Evo ce ne diedero certamente parecchi esempi nei loro versi, nella lor vita non già; ma gli amori di Dante e di Petrarca, anzichè passione del cuore, erano esercitazioni della mente: Laura e Beatrice non sono donne, ma cifre. L’amore, ch’è la passione umana, non può non seguire le leggi della nostra natura; è complessivo, e consta di spirito e di materia; e chi vuol sostenere che il solo spirito basti, o è frate ipocrita, o non è uomo intero; e chi dice che la sola materia è tutto, o non ha amato giammai, in nessun modo, o ha amato alla guisa dei maiali. L’amore di Catullo adunque era rimasto come dimezzato dal momento ch’egli non poteva

  1. Carm. CVII.