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la vita di catullo.

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stioline è lì che ci dà l’addentellato al discorso: la sua padroncina ha pensato anche a codesto. Povero passerino! e come se avesse saputo che il suo ufficio fosse finito, pochi giorni dopo se ne morì; e il suo poeta ne canta l’esequie con la stessa serietà di Mosco, che intuona l’idillio funebre di Bione; maledice all’Orco, che divora spietatamente ogni cosa bella, e si dà alla disperazione, pensando che gli occhiuzzi languidi della sua fanciulla doventeranno tumidi e rossi dal tanto piangere.1

La dichiarazione è già bella e fatta; Clodia non si lascia pregare due volte: quel giovane provinciale che scrive di bei carmi, che fa parlar di sè, ha un non so che d’ingenuo e di bizzarro nell’aspetto, deve avere i suoi estri, le sue bizze di fanciullo, i suoi matti trasporti; perchè non prenderlo all’amo? tanto a titolo di curiosità. E gli aprì le braccia, e gli prodigò in un punto le più secrete dolcezze dell’amor suo. Bisognava però salvare le apparenze; deludere le vigilanze del marito, che non dovea poi essere un Argo;2 i poeti hanno a segretario il pubblico e il cuore sulle labbra: Clodia doventò Lesbia; il nome dell’infelice fanciulla, che morì senza amore, servì di maschera a colei, che dovea esaurire le forze e i quattrini ai magnanimi nipoti di Remo!3 Era un’acerba ironìa!

  1. Carm. III.
  2. Carm. LXVIII, 146.
  3. Carm. LVIII.
Rapisardi 4