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questioni.

mettere l’LXXXII fra quelli per Lesbia, non senza ricordarmi di quello, che, domandato se volesse prender cioccolata o caffè, rispose: prenderò l’una e l’altro, tanto per non isbagliare.

Ma se c è buio fitto intorno a Quinto o Quinzio, intorno al misero Ravido o Raudo c’è buio e puzzo di cacio. Il poeta ce lo dipinge come un omiciattolo oscuro e presuntuoso, che per la sciocca manìa di mettersi in mostra e far parlare un po’ di sè per le piazze, ebbe l’ardire di attaccarsi ai panni di Lesbia (che da quella brava spugna salata ch’ella era, si succiò, com’è da credere, anche lui) senza darsi pensiero che i giambi di Valerio gli avrebbero fatto costar caro quel po’ di ben di Dio, e forse provocandoli a bella posta, perchè il suo nome potesse correr di bocca in bocca fra quel canagliume di oziosi, ingombro e peste d’ogni tempo e d’ogni società, che si pascono di pettegolezzi, di scandali e di maldicenze, e tanto hanno grande la bocca, quanto piccolo e vuoto il cervello.

L’unica notizia, ch’abbia potuto raccogliere intorno a quel Capone o Coponio, a cui, secondo il Vossio, sarebbe diretto il carme CIV, è quella che si legge negli annali dei pontefici, riferita dallo stesso critico a pagina 333 delle sue osservazioni: Q. Stertinio Prætori jus dicenti nuntius allatus est de morte filii, fictus ab amicis Copanii rei veneficio, ut concilio dimitteret ille perturbatus domum recipiebat, sed re comperta perseveravit in inquirendo. C. Actius Coponium veneficii postulavit. Divinatio inter Actium et Cæpasium minorem de accusando. Actius obtinuit quod Cæpasii uxor soror esset nurus Coponii.

Passando ora a Furio ed Aurelio, amici e poi rivali