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libro primo. | 55 |
simo, come lo Egnazio Catulliano. Il medesimo è delle mani;
le quali, se delicate e belle sono, mostrate ignude a tempo,
secondo che occorre operarle, e non per far veder la lor bellezza,
lasciano di sè grandissimo desiderio, e massimamente
revestite di guanti; perchè par che chi le ricopre non curi e
non estimi molto che siano vedute o no, ma così belle le abbia
più per natura che per studio o diligenza alcuna. Avete
voi posto cura talor, quando, o per le strade andando alle
chiese o ad altro loco, o giocando o per altra causa, accade
che una donna tanto della roba si leva, che il piede e spesso
un poco di gambetta senza pensarvi mostra? non vi pare26 che
grandissima grazia tenga, se ivi si vede con una certa donnesca
disposizione leggiadra ed attilata nei suoi chiapinetti
di velluto, e calze polite? Certo a me piace egli molto, e
credo a tutti voi altri, perchè ognuno estima che la attilatura
in parte così nascosa e rare volte veduta, sia a quella
donna piuttosto naturale e propria che sforzata, e che ella di
ciò non pensi acquistar laude alcuna.
XLI. In tal modo si fugge e nasconde l’affettazione, la qual or potete comprender quanto sia contraria, e levi la grazia d’ogni operazion così del corpo come dell’animo: del quale per ancor poco avemo parlato, nè bisogna però lasciarlo; chè sì come l’animo più degno è assai che ’l corpo, così ancor merita esser più culto e più ornato. E ciò come far si debba nel nostro Cortegiano, lasciando li precetti di tanti savii filosofi che di questa materia scrivono, e diffiniscono le virtù dell’animo, e così sottilmente disputano della dignità di quelle: diremo in poche parole, attendendo al nostro proposito, bastar che egli sia, come si dice, uomo da bene ed intiero; chè in questo si comprende la prudenza, bontà, fortezza e temperanza d’animo, e tutte l’altre condizioni che a così onorato nome si convengono. Ed io estimo, quel solo esser vero filosofo morale, che vuol esser buono; ed a ciò gli bisognano pochi altri precetti, che tal volontà. E però ben dicea Socrate, parergli che gli ammaestramenti suoi già avessino fatto buon frutto quando per quelli chi si fosse s’incitava a voler conoscer ed imparar la virtù: perchè quelli che son giunti a termine che non desiderano cosa alcuna