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libro primo. | 33 |
chi fallirà in così piccol fallo. — Soggiunse la signora Duchessa:
Io son contenta: ma abbiate cura che non v’inganniate,
pensando forse meritar più con l’esser clemente che con l’esser
giusta; perchè, perdonando troppo a chi falla, si fa ingiuria
a chi non falla. Pur non voglio che la mia austerità;
per ora, accusando la indulgenza vostra, sia causa che noi perdiamo
d’udir questa domanda di messer Cesare. — Così
esso, essendogli fatto segno dalla signora Duchessa e dalla
signora Emilia, subito disse:
XXIV. Se ben tengo a memoria, parmi, signor Conte, che voi questa sera più volte abbiate replicato, che ’l Cortegiano ha da compagnar l’operazion sue, i gesti, gli abiti, in somma ogni suo movimento con la grazia; e questo mi par che mettiate per un condimento d’ogni cosa, senza il quale tutte l’altre proprietà e buone condizioni siano di poco valore. E veramente credo io, che ognun facilmente in ciò si lasciarebbe persuadere, perchè, per la forza del vocabolo, sì può dir chè chi ha grazia, quello è grato. Ma perchè voi diceste, questo spesse volte esser don della natura e de’ cieli, ed ancor quando non è così perfetto potersi con studio e fatica far molto maggiore: quegli che nascono così avventurosi e tanto ricchi di tal tesoro come alcuni che ne veggiamo, a me par che in ciò abbiano poco bisogno d’altro maestro; perchè quel benigno favor del cielo quasi al suo dispetto i guida14 più alto che essi non desiderano, e fagli non solamente grati ma ammirabili a tutto il mondo. Però di questo non ragiono, non essendo in poter nostro per noi medesimi l’acquistarlo. Ma quegli che da natura hanno tanto solamente, che son atti a poter essere aggraziati aggiugnendovi fatica, industria e studio, desidero io di saper con qual’arte, con qual disciplina e con qual modo possono acquistar questa grazia, così negli esercizii del corpo, nei quali voi estimate che sia tanto necessaria, come ancor in ogni altra cosa che si faccia o dica. Però, secondo che col laudarci molto questa qualità a tutti avete, credo, generato una ardente sete di conseguirla, per lo carico dalla signora Emilia impóstovi siete ancor, con lo insegnarci, obligato ad estinguerla.
XXV. Obligato non son io, disse il Conte, ad insegnarvi