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264 | il cortegiano |
e degna di biasimo, nella guerra, che in sè è mala, mostrarsi
gli uomini valorosi e savii; e nella pace e quiete,
che è buona, mostrarsi ignoranti e tanto da poco, che non
sappiano godere il bene. Come adunque nella guerra debbono
intender i popoli nelle virtù utili e necessarie per conseguirne
il fine14, che è la pace; così nella pace, per conseguirne
ancor il suo fine, che è la tranquillità, debbono intendere
nelle oneste, le quali sono il fine delle utili: ed in tal modo
li sudditi saranno buoni, e ’l principe arà molto più da laudare
e premiare che da castigare; e ’l dominio per li sudditi
e per lo principe sarà felicissimo, non imperioso, come di
padrone al servo, ma dolce e placido, come di buon padre a
buon figliolo. —
XXVIII. Allor il signor Gaspar, Volentieri, disse, saprei quali sono queste virtù utili e necessarie nella guerra, e quali le oneste nella pace. – Rispose il signor Ottaviano: Tutte son buone e giovevoli, perchè tendono a buon fine; pur nella guerra precipuamente val quella vera fortezza, che fa l’animo esento dalle passioni, talmente che non solo non teme li pericoli, ma pur non li cura; medesimamente la costanza, e quella pazienza tolerante, con l’animo saldo ed imperturbato a tutte le percosse di fortuna. Conviensi ancora nella guerra e sempre aver tutte le virtù che tendono all’onesto, come la giustizia, la continenza, la temperanza; ma molto più nella pace e nell’ozio, perchė spesso gli uomini posti nella prosperità e nell’ozio, quando la fortuna seconda loro arride, divengono ingiusti, intemperati, e lasciansi corrompere dai piaceri: però quelli che sono in tale stato hanno grandissimo bisogno di queste virtù, perchè l’ozio troppo facilmente induce mali costumi negli animi umani. Onde anticamente si diceva in proverbio, che ai servi non si dee dar ozio; e credesi che le Piramidi d’Egitto fossero fatte per tener i popoli in esercizio, perchè ad ognuno lo essere assueto a tolerar fatiche è utilissimo. Sono ancor molte altre virtù tutte giovevoli, ma basti per or l’aver detto insin qui; chè s’io sapessi insegnar al mio principe, ed instituirlo di tale e così virtuosa educazione come avemo disegnata, facendolo, senza più mi crederei assai bene aver conseguito il fine del buon Cortegiano. —