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libro quarto. 255


temperanza, essendo quella che leva gli affetti dell’animo, come voi dite: il che forse si converria a qualche monaco o eremita; ma non so già come ad un principe magnanimo, liberale e valente nell’arme si convenisse il non aver mai, per cosa che se gli facesse, nè ira nė odio nè benivolenza nė sdegno nė cupidità nè affetto alcuno, e come senza questo aver potesse autorità tra popoli o tra soldati. – Rispose il signor OTTAVIANO: Io non ho detto che la temperanza levi totalmente e svella degli animi umani gli affetti, nė ben saria il farlo, perchè negli affetti ancora sono alcune parti buone; ma quello che negli affetti è perverso e renitente7 allo onesto, riduce ad obedire alla ragione. Però non è conveniente, per levar le perturbazioni, estirpar gli affetti in tutto; chè questo saria come se per fuggir la ebrietà, si facesse un editto che niuno bevesse vino, o perchè talor correndo l’uomo cade, si interdicesse ad ognuno il correre. Eccovi che quelli che domano i cavalli non gli vietano il correre e saltare, ma voglion che lo facciano a tempo, e ad obedienza del cavaliero. Gli affetti adunque, modificati8 dalla temperanza, sono favorevoli alla virtù, come l’ira che ajuta la fortezza, l’odio contra i scelerati ajuta la giustizia, e medesimamente l’altre virtù sono ajutate dagli affetti; li quali se fossero in tutto levati, lasciariano la ragione debilissima e languida, di modo che poco operar potrebbe, come governator di nave abbandonato da’ venti in gran calma. Non vi maravigliate adunque, messer Cesare, s’io ho detto che dalla temperanza nascono molte altre virtù; chè quando un animo è concorde di questa armonia, per mezzo della ragione poi facilmente riceve la vera fortezza, la quale lo fa intrepido e sicuro da ogni pericolo, e quasi sopra le passioni umane; non meno la giustizia, vergine incorrotta, amica della modestia e del bene, regina di tutte l’altre virtù, perchè insegna a far quello che si dee fare, e fuggir quello che si dee fuggire; e però è perfettissima, perchè per essa si fan l’opere dell’altre virtù, ed è giovevole a chi la possede, e per sè stesso, e per gli altri: senza la quale, come si dice, Jove istesso non poria ben governare il regno suo. La magnanimità ancora succede a queste, e tutte le fa maggiori; ma essa sola star non può, perchè chi non ha al-