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libro secondo. 117


Cortegiano basti dire, oltre alle cose già dette, ch’el sia tale, che mai non gli manchin ragionamenti buoni, e commodati a quelli co’ quali parla, e sappia con una certa dolcezza recrear gli animi degli auditori, e con motti piacevoli e facezie discretamente indurgli a festa e riso, di sorte che, senza venir mai a fastidio o pur a saziare, continuamente diletti.

XLII. Io penso che ormai la signora Emilia mi darà licenza di tacere; la qual cosa s’ella mi negarà, io per le parole mie medesime sarò convinto non esser quel buon Cortegiano di cui ho parlato; chè non solamente i buoni ragionamenti, i quali nè mo nè forse mai da me avete uditi, ma ancor questi miei, come voglia che si siano, in tutto mi mancano. Allor disse, ridendo, il signor Prefetto: Io non voglio che questa falsa opinion resti nell’animo d’alcun di noi, che voi non siate buonissimo Cortegiano; chè certo il desiderio vostro di tacere più presto procede dal voler fuggir fatica, che da mancarvi ragionamenti. Però, acciò che non paja che in compagnia così degna come è questa, e ragionamento tanto eccellente, si sia lasciato a drieto parte alcuna, siate contento d’insegnarci come abbiamo ad usar le facezie30, delle quali avete or fatta menzione, e mostrarci l’arte che s’appartiene a tutta questa sorte di parlar piacevole, per indurre riso e festa con gentil modo, perchè in vero a me pare che importi assai, e molto si convenga al Cortegiano. — Signor mio, rispose allor messer Federico, le facezie e i motti sono più presto dono e grazia di natura che d’arte; ma bene in questo si trovano alcune nazioni pronte più l’una che l’altra, come i Toscani, che in vero sono acutissimi. Pare ancor che ai Spagnoli sia assai proprio il motteggiare. Trovansi ben però molti, e di queste31 e d’ogni altra nazione, i quali per troppo loquacità passan talor i termini, e diventano insulsi ed inetti, perchè non han rispetto alla sorte delle persone con le quai parlano, al loco ove si trovano, al tempo, alla gravità ed alla modestia che essi proprii mantenere devriano.

XLIII. Allor il signor Prefetto rispose: Voi negate che nelle facezie sia arte alcuna; e pur, dicendo mal di que’ che non servano in esse la modestia e gravità, e non hanno ri-