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libro secondo. 115

che non sappia punto, debba fuggirla; e se pur la necessità lo stringe, confessar chiaramente di non saperne, piú presto che mettersi a quel rischio; e cosí fuggirà un biasimo che oggidí meritano molti i quali, non so per qual loro perverso instinto o giudicio fuor di ragione, sempre si mettono25 far quel che non sanno e lascian quel che sanno. E per confirmazion di questo, io conosco uno eccellentissimo musico, il qual, lasciata la musica, s’è dato totalmente a compor versi e credesi in quello esser grandissimo omo, e fa ridere ognun di sé e omai ha perduta ancor la musica. Un altro de’ primi pittori del mondo26 sprezza quell’arte dove è rarissimo ed èssi posto ad imparar filosofia, nella quale ha così strani concetti e nove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria depingerle. E di questi tali infiniti si trovano. Son bene alcuni, i quali, conoscendosi avere eccellenzia in una cosa, fanno principal professione d’un’altra, della qual però non sono ignoranti; ma ogni volta che loro occorre mostrarsi in quella dove si senton valere, si mostran gagliardamente; e vien lor talor fatto che la brigata, vedendogli valer tanto in quello che non è sua professione27, estima che vaglian molto piú in quello di che fan professione. Quest’arte, s’ella è compagnata da bon giudicio, non mi dispiace punto —.

XL. Rispose allor il signor Gaspar Pallavicino: — Questa a me non par arte, ma vero inganno; né credo che si convenga, a chi vol esser omo da bene, mai lo ingannare. — Questo, — disse messer Federico, — è piú presto un ornamento, il quale accompagna quella cosa che colui fa, che inganno; e se pur è inganno, non è da biasimare. Non direte voi ancora, che di dui che maneggian l’arme quel che batte il compagno lo inganna! e questo è perché ha piú arte che l’altro. E se voi avete una gioia, la qual dislegata mostri esser bella, venendo poi alle mani d’un bon orefice, che col legarla bene la faccia parer molto piú bella, non direte voi che quello orefice inganna gli occhi di chi la vede! E pur di quello inganno merita laude, perché col bon giudicio e con l’arte le maestrevoli mani spesso aggiungon grazia ed ornamento allo avorio o vero allo argento, o vero ad una bella