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Lorenzo, senza parer di esserlo, aveva il fare di un sovrano e Careggi era la sua reggia, era il tempio sacro alle gioje della sua vita di padre, di studioso.

Là si può dire che non giungesse nemmeno l’eco delle lotte cittadine, che non apparisse mai l’immagine dell’ire che in Firenze avevano richiamato in vita i tempi tristissimi delle fazioni.

Il soggiorno di Careggi così bello, così splendido per le naturali bellezze, pareva fatto apposta per sollevare gli animi ed i cuori in un ambiente più sereno e più nobile.

Lorenzo curava laggiù l’istruzione dei suoi sette figli, accoglieva e convitava i suoi compagni dell’accademia platonica, gli artisti de’ quali gli era sì cara la compagnia ed offriva splendida ospitalità ai forestieri che giungevano per ossequiare il cittadino più potente di Firenze e l’ingegno più vigoroso de’ suoi tempi.

Poeta nel senso più assoluto della parola, trovò nella quiete di queste campagne le ispirazioni più belle per la sua Selva d’Amore, un portento di semplicità e di grazia, una creazione degna addirittura del secolo d’oro dell’arte e della letteratura.

Là sotto il rezzo delle querci, dinanzi allo spettacolo sublime dei caldi tramonti, tra l’armonia delle cascatelle del torrente, evocò i ricordi della fanciullezza, sognò gli occhi soavi di Lucrezia Donati che gli avevano ferito il cuore giovanile come a Dante quei di Beatrice, rivide le belle castellane de’ secoli passati innamorate de’ paggi formosi, fantasticò coi canti delle ninfe delle fonti, e la mente sua vigorosa trovò in mezzo a tanta poesia della natura, le ispirazioni più vaste e più potenti.