lando ancora, fra quali per singolar modo si distinse il Marino, essi non peccarono già, come la più parte oggi peccano de’ moderni, o per ignoranza, o per poco zelo de’ buoni studj, o per dissipazione, o per niun desiderio di gloria, ma sibbene, come più sopra toccai, per eccessivo amore di novità, e per una smodata ambizion di distinguersi e di divenire originali, non sapendo come superare, tracciando l’istessa carriera, i Petrarchi, gli Ariosti, e i Tassi, e isdegnando d’altra parte d’esser confusi fra i numerosi loro e colti seguaci. Un solo è il buon gusto, e una sola via vi conduce: chi una novella strada si vuole aprire, è forza che il perda di vista, e perda se stesso. E in fatti di vista il perderono la maggior parte de’ Secentisti: ma non pertanto a fatica non perdonavano, e non a studio indefesso, come apparisce pur anche dalle guaste loro opere, piene d’arte e di lumi d’ogni maniera. Sebbene in parte mal coltivati, erano però gli studj in fervor nel secento e in onore. Perchè avvenne, che in alcuni, i quali lungo tempo perdettero in compor libri dell’universal pece intinti, si riscossero finalmente, conobbero i loro errori, e divennero i riformatori più zelanti dell’ottimo gusto, che agli altri dieron l’esempio; come sappiamo aver fatto il Maggi, il Manfredi, e il nostro Girolamo Tartarotti, per