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I

La storia del testo delle poesie del Campanella è quasi altrettanto avventurosa e tormentata che quella della sua vita. Scritte, quelle che possediamo, nella massima parte durante il periodo della lunga carcerazione, di nascosto dalle autoritá, che lo sorvegliavano col continuo sospetto e timore di nuovi complotti o di propaganda ereticale, esse giravano clandestinamente in alcune copie frettolose e scorrette tra i compagni di carcere in mezzo ai quali si consolidava ed ingrandiva la fama del monaco dal vulcanico intelletto, e talvolta scivolavano nelle mani di qualcuno dei rari visitatori del Campanella, che meravigliando apprendevano un’altra delle molteplici manifestazioni dell’illustre prigioniero.

Della relativa diffusione di un certo numero di poesie tra le persone a lui piú vicine sono una prova quelle poesie dedicate o a compagni di prigionia o a personaggi, che in un modo o nell’altro ebbero rapporti col Campanella quasi sempre per ragioni di ufficio (vedi per es. le poesie a pp. 101, n. 53; 111, n. 67; 220-1, nn. 3-5; 225-48, quasi tutte, e 256-7). L’Amabile ha trovato altre tracce della fama poetica conquistatasi dal Campanella tra i suoi compagni, che lo sollecitavano di scrivere e ne diffondevano i componimenti, in un curioso documento processuale, cioè un brano di colloquio notturno svoltosi tra lui e il suo fedele compagno fra Pietro Ponzio dalle finestre delle vicine celle, ascoltato da una spia e riferito ai magistrati.

— Li sonetti toi — dice fra Pietro — per tutto Napoli li ho sparso, e io li ho tutti a mente; e non ho piú gran gusto che leggere qualche cosa dello ingegnio tuo.