Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
SOPRA DANTE | 121 |
O potrebbesi dire, che questo nome solo fosse nome adiettivo, e uno fosse nome proprio di quel numero, e così cesserebbe il vizio.
M’apparecchiava a sostener la guerra,
cioè la fatica, nemica e infesta al mio riposo: sì del cammino, che far doveva, in che mostra dovere il corpo essere gravato: e sì della pietate, cioè della compassione, la quale aspetta d’avere, vedendo l’afflizioni e le pene de’ dannati, e di quegli che nel fuoco si purgano. Ed in questo dimostra l’anima dovere esser faticata; perciocchè essa è dalle passioni, che dalle cose esteriori vengono, gravata e noiata essa e non il corpo, quantunque ella sia ancor gravata dalle passioni corporali: che tratterà, cioè racconterà, la mente, cioè la potenza memorativa, che non erra: e questo dice perciocchè si conosceva avere tenace memoria, per la qual cosa non temeva dovere errare, nè nella quantità, nè nella qualità. O Muse, o alto ingegno. In questa seconda parte l’autore fa la sua invocazione, secondo il costume poetico. Usano i poeti in pochi versi dire la intenzione sommaria di ciò che poi intendono di trattare in tutto il processo del libro, e questo detto, fare la loro invocazione: e così fa Virgilio nel principio del suo Eneida:
— — — — — at nunc horrentia Martis,
Arma,virumque cano, Trojae qui pjimus ab oris, etc.
E questi pochi versi detti, incontanente invoca, dicendo:
Musa, mihi causas memora: quo numine laeso, etc.