dano direttamente le Eroidi, i reiterati soliloqui degl’innamorati, che ripensano alle trepidanti immagini del loro amore, e ne rifanno ripetutamente la breve e fragile storia, rivivendone tutte le delicate esitazioni e gl’innumerevoli palpiti, con quelle improvvise e fuggevoli esaltazioni e con quelle sottili e dubbiose ansie che intessono la rada trama d’ogni amorosa passione. E il Boccaccio ha perfino ricorso alla tecnica «epistolare», secondo i modi del poeta latino, serbando anche la struttura del modello ovidiano, specie nella progressione dei ricordi, ma soprattutto nel tono fondamentale, che è quello della lontananza e della stanca attesa, della tensione sentimentale che sta per spezzarsi, della disperazione che è pur sempre speranzosa (si veda, per es., tutto l’episodio della gelosia, pp. 196-214). Ma nello scrittore toscano c’è un minore distacco artistico rispetto al poeta classico: per questo ogni amore è una novella, un mito, un’esemplificazione lirica, in cui la passione si serena in una levitá estetizzante, mentre nel Boccaccio la vita è ancora tumultuosa edisordinata, e soverchi a la elaborazione-artistica, troppo legata ancora alla maniera indisciplinata della confessione sentimentale e autobiografica. È quasi costante una situazione psicologica di molle tenerezza, con quel senso di estremo smarrimento che induce al pianto e a sentire pietá di se stesso: un continuo rammaricarsi e quasi un accarezzare i motivi e le immagini della propria infelicitá, con il sentimento di esser solo e indifeso di fronte a un destino implacabilmente avverso. È appunto la sensibilitá che piú caratterizza l’Elegia di Arrighetto, che nella realtá umana e letteraria non vede se non echi e consensi della propria miseria e del proprio pianto, a cui si abbandona con la sconsolata ingenuitá del bimbo: a questa particolare situazione spirituale corrisponde una concitazione stilistica che procede a scatti, con brevi proposizioni, per lo piú in forma interrogativa e sospensiva, in una specie di polemica con se stesso e la propria esistenza, quasi a tradurre la sgomenta incertezza dell’animo. Il Boccaccio l’ha presente e ne sfrutta molti accenti e soprattutto quei procedimenti sintattici che richiamano la vita a scorci e a improvvise illuminazioni, con una giustapposizione di brevi concetti e di immagini fugacissime. Cosicché il verso di Arrighetto ritorna nei momenti piú critici, quando la passione dispera e il ricordo si fa pianto e desolazione: allora anche lo stile si fa piú concitato e simula il movimento della lingua parlata.