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nome barbarico in un onorevole En Cararh, secondo la buona creanza catalana, e si milmente Narnald Cluada (IV, iii) riacquista il prefisso provenzalesco ed il cognome, N’Arnald Civada. Talano di Molese (IX, vii) ritrova il nome del padre Imolese, come Ruggeri da Ieroli (IV, x) il suo paese d’origine in Aieroli, ch’è Agerola (cfr. Torraca, G. Bocc. a Napoli cit., p. 156 e n. 1; ivi osserva l’autore che il Bocc. chiamò stadico lo stratigoto ossia il magistrato che esercitava la giustizia criminale in Salerno: ebbene, anche quella strana parola stadico della vulg. torna ora al suo vero suono stradicò); nello stesso modo messer Torello d’Istria da Pavia (!) si fa riconoscere per di Strá (X, ix). Neri Mannini (VI, vi) era un Vannini, e il padre di Spinelloccio (VIII, viii), non Tanena, nome che a Siena non usò mai, ma Tavena; invece un nome proprio della vulg., la Trecca (VIII, v), ritorna alle piú modeste funzioni del nome comune «trecca», ossia venditrice di erbaggi e frutta, e quello sconosciuto del maestro Scipa (cfr. Fanf., II, p. 264, n. 2) si contenta di raddolcirsi in «maestro sapa». Salutiamo anche senza rimpianto una mezza dozzina di vocaboli che, nati da una sbadataggine di amanuense, erano entrati nel lessico per colpa di quella non mai abbastanza deplorata idolatria per le deformazioni dei testi a penna: pocofila, trasorier, giudicio, sanctio, balco, borrana (nel senso di borro o burrone), e, piú straordinario di tutti, l’impagabile verbo carapignare! Questo è introdotto da L e dalla vulg. nel passo di II 16624 «ed essi si carmignavano come que’ signori»: in B la quinta lettera della parola fu espunta (ed il punto di espunzione fu creduto dal Mannelli costituire la gamba di una p), mentre sulla quarta e su parte della quinta l’amanuense tracciò segni che sembrano voler trasformare le lettere stesse in una m, ma non cosí bene, che le due aste anteriori non tradiscano ad incerta lettura un’a; d’onde appunto carapignavano.