Pagina:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu/25


Avvertenza xvii


Per lei si possono credere scritti alcuni sonetti (LXXX, LXXXII-LXXXIX) nei quali rispecchiansi le rapide vicende della breve relazione: timore dell’onestà attribuita alla donna, rabbiose disperate imprecazioni all’indirizzo d’Amore che non lascia tregua al canuto proco e lo fa divenir ‘favola del vulgo noioso’, lamenti della superba indifferenza di madonna, richiami sempre più violenti a se stesso per riprendersi dal giogo della perfida ingannatrice. L’epilogo di questa storia d’amore in versi è uno scritto in prosa; la pungente, incisiva, dilacerante prosa del Laberinto d’Amore.

Non senza un sapor recondito di simbolo è l’immediato riaccostamento, ai sonetti per la vedova, di due che rappresentano, negli inviti di acconce personificazioni femminili, l’anelar di Giovanni alla gloria poetica (XC-XCI). Alle tempeste sentimentali della gioventù e della virilità subentrano le lotte, non meno angosciose, di cui il tavolo da studio è l’unico e muto confidente. E con vera angoscia si sarà Giovanni indotto a quelle confessioni d’impotenza artistica che in altri due sonetti (CVII-CVIII) s’irrochiscono quasi di mal represso pianto e che consuonano con le spiegazioni da lui date ad amici intorno il disperato proposito al quale dobbiamo la perdita di tanta parte della sua opera poetica: il bruciamento delle poesie volgari, liriche per massima parte. Quanto è amara constatazione quella di sentirsi impari le forze all’ardua conquista dell’alloro!

Ma anche questo riposo non sempre gli fu rispettato dagli uomini. Parallelamente alle altre informazioni biografiche, le Rime ci mettono a parte di due amarezze che colpirono il cuore del poeta, sensibile


b.Classici italiani, N. 1.