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178 | Giovanni Boccacci |
Né giungon pria, che1 ’l bel viso di lei
Col mio rimemorar van dipingendo.
E simil fan le liete feste avute
L’amor la grazia el piacer e ’l diletto,10
E le pongon dinanzi alla mia mente:
Le qual2, come conosco esser perdute,
Né mai di rivederle più aspetto,
Pianti e sospir si fan subitamente3.
Amore, pur convien che le tue arme
Ti renda, lasso, e quello antico strale,
El qual così fosse stato mortale,
Ché bel morir quanto bel viver parme4!
E quel desio, che già solea infiammarme,5
E la speranza e ’l mio servir liale
Ti rendo, e quel piacer fallace e frale,
Poi che a forza fortuna il fa lassarme.
Di che5 mi doglio a te, signor gentile,
E tu doler ti doveresti anchora10
Che fortuna mi cacci dal tuo ovile6.
Ma l’esemplo dimostri7 a chi ti honora,
A chi ti serve, a chi siegue tuo stile,
A chi sotto tua insegna si rincora8.
- ↑ «E non appena giungono.»
- ↑ Le quali cose (vv. 9-10).
- ↑ Sull’occasione del son. cfr. la n. 3 alla p. precedente.
- ↑ «Morire mi par bello quanto bel vivere.»
- ↑ Del dover rendere tutto ciò ch’è stato enumerato nelle quartine.
- ↑ Dalla schiera dei fedeli d’Amore.
- ↑ «Insegni.»
- ↑ È un son. di rassegnato e sconsolato abbandono, e ben potrebbe segnare l’epilogo di una grande passione amorosa.