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Rime 147

     Esser così fuggito, anzi cacciato
     Da me, che ora indarno ne sospiro.
Et so s’è conceduto ch’e mia danni
     Ristorar possa anchor di bel soggiorno110
     In questa vita labile et meschina?
     Perché passato è l’arco de’ mia anni2,
     Et ritornar non posso al primo giorno,
     Et l’ultimo già veggio s’avicina.


CXII.


Fuggesi il tempo, e ’l misero dolente,
     A cui si presta3 ad acquistar virtute,
     Fama perenne et eterna salute,
     El danno irreparabile non sente;
     Ma neghittoso forma nella mente5
     Cagion all’otio et scusa alle perdute
     Doti4, le quai poi tardi conosciute
     Piange, tapino, et senza pro si pente.
Surge col sol la piccola formica
     Nel tempo estivo, et si raguna l’esca,10
     Di che nel fredd’adverso si nutrica.
     Al negligente sempre par ch’incresca5:


  1. «Con un’esistenza intesa a praticare la virtù.»
  2. Cfr. LXXX, 1, e la nota relativa.
  3. Il tempo. Il sonetto è ‘contro la pigrizia: che non bisogna perdere il tempo, ma sempre intendere ad acquistare virtù, fama, e meriti rispetto a Dio’ (Zingarelli).
  4. Quelle indicate nei vv. 2-3.
  5. Di provvedere a se stesso. Negligente è nel senso con cui Dante lo disse di Belacqua (Purg., IV, 110-111).