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146 Giovanni Boccacci

     Provat’abbiamo; né già il navicare
     Alcun segno, con vela o con vogare,5
     Scampato ci à dai perigli eminenti1
     Fra’ duri scogli et le secche latenti,
     Ma sol colui che, ciò che vuol, può fare2.
Tempo è omai da reducersi in porto
     Et l’ancore fermare a quella pietra,10
     Che del tempio congiunse e dua parieti3;
     Quivi aspectar el fin del viver corto
     Nell’amor di colui, da cui s’impetra
     Con humiltà la vita de’ quieti4.


CXI.


Quante fiate indrieto mi rimiro,
     M’accorgo et veggio ch’io ò trapassato5,
     Forse perduto et male adoperato,
     Seguendo6 in compiacermi alcun desiro;
     Tante con meco dolente m’adiro,5
     Sentendo quel, ch’a tutti sol n’è dato7,


  1. «Né già alcun segnale à campato dai pericoli la nostra navigazione, o veleggiando o vogando.» Per segno come termine marinaresco cfr. anche CXIX, 4.
  2. Dio.
  3. Le due pareti del tempio tengo che siano, fuor dell’allegoria, il Vecchio ed il Nuovo Testamento, tra i quali la Chiesa, al cui riparo vuol d’ora in poi fermarsi il poeta, fu il tratto di unione, la pietra di congiungimento.
  4. Il paradiso, che s’impetra da Dio.
  5. «Che cosa (che) io ò trapassato:» il tempo (cfr. i vv. 6-8).
  6. «Procedendo;» per questo significato del verbo seguire cfr. CVI, 11, e la nota relativa.
  7. Il tempo: cfr. qui sopra, n. 5.