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Rime 77

Et com’a lle’ fu il ciel mite et benigno,
     Così a le poi nate par che sia:10
     Et io, miser a me, sovente il provo,
     Veggendo bella la nemica mia
     Vincer ogni mia forza col suo ingegno,
     Ver me monstrando sempre sdegno nuovo.


XXXVII.


Vetro son facti i fiumi, et i ruscelli
     Gli serra di fuor ora la freddura1;
     Vestiti son i monti et la pianura
     Di bianca neve et nudi gli arbuscelli,
     L’herbette morte, et non cantan gli uccelli5
     Per la stagion contraria a lor natura;
     Borea soffia et ogni creatura
     Sta chiusa per lo freddo ne’ sua hostelli.
Et io, dolente, solo ardo et incendo
     In tanto foco, che quel di Vulcano10
     A rispecto non è una favilla;
     Et giorno et notte chiero a giunta mano
     Alquanto d’acqua al mio signor2 piangendo,
     Né ne posso impetrar sol una stilla.


  1. È in questi versi osservabile una reminiscenza della canzone di Dante Io son venuto al punto della rota: ‘E l’acqua morta si converte in vetro Per la freddura, che di fuor la serra’ (vv. 60-61). Una lieve concordanza è anche tra il primo emistichio del v. 5 del sonetto e il v. 42 della canzone (‘e morta è l’erba’). Per un’altra imitazione della medesima poesia dantesca si veda, tra quelli dell’appendice, il son. Cadute son.
  2. Amore.