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capitolo viii 155


gravissima fa la mia vita continuamente, e però me di maggior doglia gravata tengo.

Ricordami alcuna volta avere letti li franceschi romanzi, a’ quali se fede alcuna si puote attribuire, Tristano e Isotta, oltre ad ogni altro amante essersi amati, e con diletto mescolato a molte avversitá avere la loro etá piú giovane esercitata, li quali, però che molto amandosi insieme vennero ad un fine, non pare che si creda che senza grandissima doglia e dell’uno e dell’altro li mondani diletti abbandonassero: il che agevolmente si può concedere, se essi con credenza si partirono del mondo, che altrove questi diletti non si potessero avere; ma se questa oppinione ebbero d’essere altrove, come di qua erano, piuttosto a loro nel loro morire letizia si dée credere che tristizia la ricevuta morte, la quale, benché da molti sia fierissima e dura tenuta, non credo che sia cosí. E che certezza di doglia puote uno rendere testimoniando cosa che egli non provò mai? Certo niuna. Nelle braccia di Tristano era la morte di sé e della sua donna; se quando strinse gli fosse doluto, egli avrebbe aperte le braccia, e saria cessato il dolore. E oltre a ciò, diciamo pure che gravissima sia ragionevolmente: che gravezza diremo noi che possa essere in cosa che non avvenga se non una volta, e quella occupi pochissimo spazio di tempo? Certo niuna. Finirono adunque Isotta e Tristano ad un’ora li diletti e le doglie, ma a me molto tempo in doglia incomparabile è sopra gli avuti diletti avanzato.

Aggiugne ancora il mio pensiero al numero delle predette la misera Fedra8, la quale, col suo mal consigliato furore, fu cagione di crudelissima morte a colui il quale ella piú che se medesima amava. E certo io non so quello che a lei si seguí di cotale fallo, ma certa sono, se a me mai avvenisse, niuna altra cosa che rapinosa morte il purgherebbe; ma se essa pure in vita si sostenne cosí come giá dissi, agevolmente il mise in oblio, come mettere si sogliono le cose morte.

E oltre a ciò con costei accompagno la doglia che senti Laudomia9, e quella di Deifile e d’Argia10 e di Evannes11 e di