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capitolo vii 141


misero Icaro11 nel mezzo del cammino, presa troppa fidanza nelle sue ali, salito all’alte cose, da quelle nell’acque cadde del suo nome ancora segnate; questa, me sentendo di quelli, non contenta de’ dati mali, apparecchiandomi peggio, con falsa letizia indietro trasse le cose avverse e il suo corruccio, acciò che, piú movendosi di lontano, non altramente che facciano li montoni africani per dare maggiore percossa, piú m’offendesse; e in questa maniera con vana allegrezza alquanto diede sosta alle mie doglie.

Essendo giá per ogni mese promesso troppo piú di quattro dimorato il poco fedele amante, avvenne che un giorno, dimorando io ne’ pianti usati, la vecchia balia, con passo piú spesso che la sua etá non prestava, tutta nel vizzo viso di sudore molle, entrò nella camera nella quale io era, e postasi a sedere, battendole forte il petto, negli occhi lieta, piú volte cominciò a parlare; ma l’ansietá del polmone precedente ogni volta nel mezzo le rompea le parole. Alla quale io piena di maraviglia dissi:

— O cara nutrice, che fatica è questa che t’ha cosí presa? Qual cosa disideri tu di dire con tanta fretta, che prima l’affannato spirito non lasci posare? È ella lieta o dolente? Apparecchiomi io di fuggire o di morire, o che debbo fare? Il tuo viso alquanto, non so di che né per che, rinverdisce la mia speranza, ma le cose lungamente state contrarie mi porgono quella paura di peggio che ne’ miseri suole capére. Di’ adunque tosto, non mi tenere piú sospesa: qual fu la cagione della tua rattezza? Dimmi se lieto Iddio, o infernal furia, qui t’ha sospinta. —

Allora la vecchia, ancora appena riavuta la lena, intrarompendo le mie parole, assai piú lieta disse:

— O dolce figliuola, rallégrati, niuna paura è ne’ nostri détti; gitta via ogni dolore, e la lasciata letizia ripiglia: il tuo amante torna. —

Questa parola entrata nell’animo mio súbita allegrezza vi mise, sí come li miei occhi mostrarono; ma la miseria usata in brieve la tolse via e nol credetti, anzi piangendo dissi: