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capitolo vi 123


gno la troverá, però che io per quella spero ogni mia doglia finire. Lo ’nferno, de’ miseri supremo supplicio, in qualunque luogo ha in sé piú cocente, non ha pena alla mia somigliante. Tizio ci è porto15 per gravissimo esemplo di pena dagli antichi autori, dicenti a lui sempre essere pizzicato dagli avoltori il ricrescente fegato, e certo io non la stimo picciola, ma non è alla mia somigliante; ché se a colui avoltori pizzicano il fegato, a me continuo squarciano il cuore cento milia sollecitudini piú forti che alcuno rostro d’uccello. Tantalo16 similmente dicono tra l’acque e li frutti morirsi di fame e di sete; certo e io posta nel mezzo di tutte le mondane delizie, con affettuoso appetito il mio amante disiderando, né potendolo avere, tal pena sostengo quale egli, anzi maggiore, però che egli con alcuna speranza delle vicine onde e de’ propinqui pomi pure si crede alcuna volta potere saziare, ma io ora del tutto disperata di ciò che a mia consolazione sperava, e piú amando che mai colui che nell’altrui forza con suo volere è ritenuto, tutta di sé m’ha fatto di fuori. E ancora il misero Issione17 nella fiera ruota voltato non sente doglia sí fatta, che alla mia si possa agguagliare: io in continuo movimento da furiosa rabbia per gli avversarli fati rivolta, patisco piú pena di lui assai. E se le figliuole di Danao18 ne’ forati vasi con vana fatica continuo versano acqua credendoli empiere, e io con gli occhi, tirate dal tristo cuore, sempre lagrime verso.

Perché ad una ad una le infernali pene mi fatico io di raccontare? Con ciò sia cosa che in me maggior pena tutta insieme si trova, che quelle in diviso o congiunte non sono. E se altro in me piú che in loro d’angoscia non fosse, se non che a me conviene tenere occulti li miei dolori, o almeno la cagione d’essi, lá dove essi con voci altissime e con atti conformi alle loro doglie li possono mostrare, si sarieno le mie pene maggiori che le loro da giudicare. Oimè! quanto piú fieramente cuoce il fuoco ristretto, che quello il quale per ampio luogo manda le fiamme sue! E quanto è grave cosa e di guai piena il non potere nelle sue doglie spandere alcuna voce, o dire la nociva cagione, ma convenirle sotto lieto viso