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capitolo vi | 109 |
piú si potesse durare di male, che quello che io durava,
quando la fortuna, non contenta de’ danni miei, mi volle mostrare ch’ancora piú amari veleni aveva che darmi. Avvenne,
adunque, che de’ paesi di Panfilo alle nostre case tornò un nostro carissimo servidore, il quale da tutti, e massimamente da
me, graziosamente fu ricevuto. Questi, narrando i casi suoi e
le vedute cose, mescolando le prospere con l’avverse, per avventura gli venne Panfilo ricordato; del quale molto lodandosi,
ricordando l’onore da lui ricevuto, me nell’ascoltare faceva
contenta, e appena potè la ragione la volontá raffrenare di
correre ad abbracciarlo, e del mio Panfilo dimandare con
quell’affezione che io sentiva; ma pure ritenendomi, e quello
essendo dello stato di lui dimandato da molti, e avendo bene
essere di lui a tutti risposto, io sola il dimandai con viso
lieto, quello che egli faceva e se suo intendimento era di
tornarci, alla quale egli cosí rispose:
— Madonna, e a che fare tornerebbe qua Panfilo? Niuna piú bella donna è nella terra sua, la quale oltre ad ogni altra è di bellissime copiosa, che quella la quale lui ama sopra tutte le cose, per quello che io da alcuno intendessi; ed egli, secondo che io credo, ama lei; altramente io il riputerei folle, dove per addietro savissimo l’ho tenuto. —
A queste parole mi si mutò il cuore, non altramente che ad Oenone2 sopra gli alti monti d’Ida aspettante, veggendo la greca donna col suo amante venire nella nave troiana; e appena ciò nel viso nascondere potei, avvegna che io pur lo facessi, e con falso riso dissi:
— Certo tu di’ il vero: questo paese a lui male grazioso, non gli potè concedere per amanza una donna alla sua virtú debita; però se colá l’ha trovata, saviamente fa, se con lei si dimora. Ma dimmi, con che animo sostiene ciò la sua novella sposa?—
Egli allora rispose:
— Niuna sposa è a lui; e quella, la quale non ha lungo tempo ne fu detto che venne nella sua casa, non a lui, ma al padre è vero che venne. —