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del sapere, e accademici Oziosi, Umidi, Oscuri, Apatisti, Cruscanti2; e il collegio degli Arcadi popolò de’ suoi pecorili ogni cantone della bella Penisola, ma nè avidità di stipendio, nè romorio di ciancie avvicendate, nè nienti rappresentati in volumi, fecero mai la gloria di una nazione. E se pochi sovrastano immensi nella solitudine di quattro secoli, venerate la fiamma del Genio Italiano, che rompe caldissima traverso le guerre intestine dei mal divisi talenti, e le lunghe vendette della fortuna. Ma rammentate ancora come quei Grandi, perchè non vollero acquietarsi alla inerzia, o sentire tepidamente, assaggiassero la povertà, la calunnia, il pugnale; ed ogni secolo può vantare una vittima illustre data al deserto, o al patibolo.
Forse non è anche suonata l’ora da sollevare il velo, che la paura e l’ignoranza hanno tramato sulle molte cause, onde fu morto lo slancio della Italiana Letteratura; nè io ho spalle da tanta fatica. Pure alla nuova impresa non mancheranno, confido, uomini liberali, che dell’acume si valgano a scernere il bianco dal nero, e le Grazie chiamino a compagne del viaggio, perchè tratto tratto s’infiori l’aridità del cammino. Ma se dei tanti guai dovessi pur uno additarne, ultimo fra questi non conti l’Italia la Critica. È scienza, che ritornata legittima merita lode, e non biasimo; ma, come venne esercitata finora, fece danno più che non credi. E fu manto, che coperse la vanità di mille e mille nati al silenzio, e mai non ebbe consistenza di proprii elementi; stette dietro all’opera, e appartenne alla mente come al fuoco la cenere.
Arroganza ebbe sfrenata; e le sue spine crebbero sotto l’orma del Grande dovunque ei la mosse, senza