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avvenire che si formi un cerchio intero; se allora la porzione superiore si dilegua, rimanendo soltanto l’inferiore si ha l’arco rovesciato.
§ 2.
L’arcobaleno risulta dalle varie modificazioni che la luce assume dentro le goccie e dalla riflessione di essa sulla faccia interna delle medesime. E siccome la sua apparizione è subordinata all’altezza del sole e alla posizione dell’osservatore fra il sole e i vapori che precipitano, facilmente si è indotti a concludere che, per un punto di vista determinato e fisso, non tutti i raggi rifratti dalla superficie esterna convessa e riflessi dalla superficie concava interna dei suoi liquidi globicini, danno luogo per noi effettivamente al fenomeno in questione: bensì tutti possono offrire occasione al fenomeno stesso qualora si cangi opportunamente la posizione dell’occhio nello spazio circostante come ha dimostrato per primo Antonio De Dominis con diffusione e lucicidità tutta geometrica.
Le condizioni nelle quali si determina la visione dell’arcobaleno vale a dire l’opacità della nube scioglientesi in pioggia, la necessaria obliquità del sole e il fatto che dalla sua luce escono i colori, non isfuggirono allo sguardo di Lucrezio; e fa meraviglia come in un tempo in cui esse erano prive di qualunque significazione teorica e non avevano alcuna importanza razionale riconosciuta, egli abbia saputo delinearle in pochi tratti nel suo poema1. Meno esatto fu Dante, allorché, descrivendo incidentalmente l’arcobaleno, innamorato della bellezza di una immagine ardita reputò l’iride ancella dell’aria.2.