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cxvi introduzione

Basile — , mi par che provino sicuramente la continua imitazione del Rabelais, che il Liebrecht ha creduto divedere nel Cunto de li Cunti.

L’imitazione sarebbe, a ogni modo, di puri procedimenti artistici. Ora tali imitazioni generiche sono cose proprie di tempi più recenti; a quei tempi, le imitazioni solevano essere concrete e particolari. Investirsi dello spirito di un autore, cosicchè tu lo senta in ogni parte, ma, quando vai ad abbracciarlo, torni colle braccia vuote al petto, non era il metodo dei nostri imitatori cinquecentisti e seicentisti. Essi imitavano la situazione, il pensiero, l’immagine: ricalcavano, non s’assimilavano i loro modelli.

Nè lo stile del Basile, è un’apparizione così strana che, per ispiegarselo, bisogni uscire fuori del suo tempo e del suo paese. Quello stile bizzarro è frutto del seicento letterario e dell’ingegno napoletano. Anche per Giordano Bruno, — compaesano e quasi contemporaneo del Basile — , il Monnier fece l’ipotesi che conoscesse il Rabelais e se ne appropriasse lo stile. E, — lasciando stare che sia piuttosto ardito il concepire lo stile di Giordano Bruno come qualcosa di esterno al suo carattere e al suo pensiero — , chi non vede che il ripetersi dello stesso caso per scrittori dello stesso tempo e dello stesso paese, è un’altra prova della poca verisimiglianza di un’imitazione, fatta, e fatta misteriosamente, su cosi larga scala! — Il Basile applicava alle fiabe del Cunto de li Cunti i gusti comici suoi e del suo tempo. E a chi legge prima le sue Lettere napoletane, e poi le sue Muse, e poi il Cunto de li Cunti, par di assistere