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introduzione cv

Ovvero, per esprimere il far della notte:


..... sommiero le 24 ore, quanno comenzavano pe le poteche de Cinzia ad allommarese le locernelle..... (I, i).


..... essenno già l’ora che la luna voleva jocare co lo sole a ghiste e veniste, e lo luoco te perdiste..... (I, 3).


Quando lessi per la prima volta il Cunto de li Cunti, fui colpito dalla parentela artistica, che c’è tra questo libro e il gran libro del Pantagruel. In seguito, ho trovatonotato la stessa somiglianza in una nota, messa dal Liebrecht, alla traduzione tedesca, da lui fatta, dell’opera dell’inglese Dunlop: Geschichte der Prosadichtungen1. E noto l’indipendenza della mia osservazione, perchè mi sembra che, in questa indipendenza, sia una prova di più dell’esattezza di essa.

Anche il Rabelais ebbe, come materia della sua opera, una tradizione popolare, e la raccontò con intonazione semipopolare, ma mescolandovi continuamente giuochi, e riflessioni, e digressioni, e allusioni d’ogni genere. A leggerlo, io ho avuto sempre in mente la dedica ai beuvers trés illustres, colla quale s’apre il libro. E non ho potuto difendermi dal concepire lo scrittore del Pantagruel, nella condizione intellettuale e nella condizione psicologica di un uomo di grandi doti intellettuali, che abbia largamente bevuto, e che abbandoni le redini a tutte le sue facoltà, le quali si agitano scompostamente, ma possentemente!



  1. Berlin, 1851, pp. 517-8.

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