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artisti fiesolani | 13 |
«Gli mandò» - scrive il Baldinucci - «un assai studioso giovane chiamato Domenico Tempesti, nativo di Fiesole, che nella scuola del Volterrano aveva dato saggio di ottima disposizione a queste arti, acciocchè gli comunicasse le sue virtù».
Il Nanteuil se lo tenne seco nello studio ed in casa per due anni, e così fino al momento della sua morte, nel Decembre 1678.
Tornato a Firenze il Tempesti condusse con gran perfezione e finezza molte opere non solo di intaglio ma anche di pastello e furono molto pregiati i ritratti al bulino del celebre Dottor Francesco Redi, del Domenico Tempesti, e del gran matematico Vincenzo Viviani.
Col principiare del Settecento, ossia del secolo xviii, la decadenza continua, e restano in fiore soltanto quelle arti che si fondano sulla pazienza del lavoro e sull’imitazione, i mosaici, pietre dure e arazzi, aiutate dai Sovrani Medicei che fecero venire di Fiandra e poi da Parigi i maestri arazzieri.
Verso la metà del secolo, la grande arte incomincia a risorgere in Italia, per impulso di artisti stranieri, specialmente di Francia e di Germania, finchè sorge il Canova (1747-1822) imitatore della bellezza statuaria della Grecia, coi modelli del vero.
E nel Settecento Fiesole non può vantare altri artisti che i Torricelli.
Giuseppe Antonio di Bartolommeo Torricelli, nato a Fiesole il 10 Marzo 1659 in una casa posta tra il Massaio ed il Poggerello, fu scultore in pietra dura e intagliatore di gemme nella Galleria di Firenze sotto Cosimo III e scrisse nel 1714 un Trattato sulle pietre dure e sui modi di lavorarle.
Fece in diaspro, per la chiesa di Ripoli il busto della Granduchessa Vittoria della Rovere, moglie di Ferdinando II, nel costume religioso delle Montalve, che è ora alle Quiete; e pure in pietre dure il ritratto del Gran Principe Ferdinando, il bassorilievo della SS. Annunziata ora al Quirinale, donato da Cosimo III a Papa Innocenzo XII; e statuette, vasi e bicchieri, tazze e tabacchiere, con mirabile e pazientissima arte di scalpello e di ruota.
Morì il 12 Marzo 1719 dopo aver fatto un degno allievo nel figlio Gaetano che l’arte paterna trasmise a sua volta al proprio figliuolo Giuseppe.
Ma alla fine del secolo xvii chiaramente si vide come in quel periodo di decadenza si fosse andato elaborando un principio di