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camera dei deputati — sessione del 1861


rivelarono essi l’intimo loro pensiero. Quando nel 1713 Vittorio Amedeo cessava di dirsi secondo, e annunziandosi col solo nome sottintendevasi primo, si è che credeva di avere eternamente acquistato il regno di Sicilia. Quando poi avendolo perduto rimanevasi ancora senza numero, egli dissimulava a’ suoi popoli il proprio infortunio e mascheravasi primo per l’acquisto del regno assai meno considerevole di Sardegna, dove ancora poteva dirsi primo. Carlo Emanuele terzo di Savoia l’imitava, essendo egli pure primo di Sardegna.

Ma la selvaggia e misera Sardegna, non equivalente alla storica Sicilia, era inferiore di assai alla stessa Savoia; quindi i successori di Carlo Emanuele, desiderando un ritorno, rimasero per due generazioni senza numero, non volendo nè il terzo Vittorio Amedeo dirsi secondo di Sardegna, nè il quarto Carlo Emanuele dirsi egualmente secondo di Sardegna. Per tal guisa di politica ondeggianti i principi di Torino, ondeggiarono pure nel numero e negli emblemi.

Mi fu opposto dall’onorevole signor ministro Natoli, che mi dispiace di non vedere al suo posto in questo momento, che Ferdinando V di Aragona non mutò denominazione, quantunque conquistasse tutta la Spagna, terra se non più estesa, per lo meno estesa quanto il regno di Vittorio Emanuele. Ma quelle furono conquiste sugli infedeli, non si può essere re per la grazia di Dio di un paese saraceno, non si può pretendere di continuare una dinastia musulmana. (Ilarità — Rumori in sensi diversi)

D’altronde Ferdinando V non estese il suo regno alla Castiglia. Il Würtembergh e la Sassonia, che egualmente furono citati, si estendevano sul loro proprio territorio, come i conti di Savoia diventati duchi senza punto mutare la numerazione loro, giacchè rimanevano sempre sulla stessa base.

Da ciò debbo trarre due conclusioni: la prima, che, restando sotto l’impero della grazia di Dio, restiamo sotto l’antico diritto pubblico anteriore alla rivoluzione, diritto oscillante che ci getta in mille contraddizioni, che ci fa dire e disdire ad ogni tratto, e che ci spinge di continuo tra mille temerità riparate da altrettante viltà. Intendo benissimo qual sia l’incertezza degli uomini politici, io non li accuso troppo, perchè vedo la forza delle cose che li condanna a tergiversare e ad ondeggiare; ma, infine, l’antico diritto è scosso. Colla grazia di Dio, colla religione dominante, colle antiche idee rimarremo nella sfera delle antiche vicissitudini, e il regno sarà una delle abituali esplosioni delle rivoluzioni italiane, sarà l’esplosione dei Visconti, degli Scala, di Ladislao, dei Veneziani; sarà l’esplosione stessa di Carlo Alberto, pur troppo obbediente, senza saperlo, all’inesorabile legge che condanna alla forma unitaria ogni momentanea rivoluzione nelle nazioni federali. E appunto per questa legge io terminava nel 1857 la mia Storia delle rivoluzioni d’Italia, annunziando che, dove l’Austria non avesse mutato regime, il Piemonte avrebbe improvvisamente regnato in ogni angolo della Penisola.

La seconda conclusione che intendo trarre è che la nostra intestazione emblematica dichiara l’Italia essere non redenta nè trasformata, ma conquistata dal Piemonte, sovrapposto a tutte le altre provincie. Non saranno più i Lombardi, i Toscani, i Partenopei, i Siciliani gli autori del nuovo regno, sarà Vittorio Emanuele, che, senza sconcertarsi senza dimenticar nulla del suo passato, senza nulla abbandonare delle sue prelese, avrà voluto sottomettere tutte le province all’antica tradizione degli avi suoi, i quali avrebbero combattuto le nostre rivoluzioni. E qui parlo delle rivoluzioni che ammette lo stesso signor conte Di Cavour, non parlo di sedizioni, di sommosse, parlo del voto libero dei popoli, che sarebbe disconosciuto, che sarebbe confiscato.

presidente. Ha facoltà di parlare il deputato Macciò.

macciò. Rinuncio a parlare.

massari. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

presidente. Ha facoltà di parlare.

massari. Appunto perchè non ci deve essere restrizione nè sottinteso, appunto perchè ognuno di noi deve avere libertà piena ed ampia di esprimere in questo recinto le sue opinioni, io mi faccio lecito di rivolgere all’onorevole deputato Ferrari una preghiera, perchè voglia fornirmi uno schiarimento.

Il discorso che egli ha testè pronunciato mi pare...

presidente. Scusi, ella entra nella discussione, e non è più una mozione d’ordine.

massari. È una parola sola.

ferrari. Desidero io stesso che il signor Massari produca la sua interpellanza.

massari. Se ho bene inteso, l’onorevole Ferrari, nel corso del suo dire, avrebbe pronunciate queste parole: false dottrine della Chiesa romana. Io lo pregherei a sapermi dire se per esse ha voluto far allusione alla dottrina politica della potestà temporale, perchè in questo caso io sarei del suo parere; laddove, se egli avesse voluto far allusione al dogma... (Interruzioni e rumori)... io stimerei mio debito di protestare, e di protestare altamente.

presidente. Osservo al deputato Massari che le parole del deputato Ferrari furono abbastanza chiare. Tutti hanno potuto comprenderle, e saranno in grado di ben giudicarle quando saranno stampate, senza ch’egli abbia d’uopo di fornire altri schiarimenti.

ferrari. Domando la parola.

Molte voci. No! no!

ferrari. Faccio un’altra interpellanza al signor Massari (Rumori), e domando alla mia volta se l’onorevole preopinante esige che io violi lo Statuto... (Interruzioni e voci: No! no!)

presidente. Prego il signor deputato Ferrari di non entrare in altre spiegazioni, perchè, come ho detto, le sue parole sono state pronunciate in modo che tutti hanno potuto comprenderle, e da non poter dar luogo ad equivoco. (Bravo!)

ferrari. Poichè l’Assemblea mi vuol dispensare (Voci generali: Sì! sì!), io non risponderò.

Del resto le mie opinioni le ho pubblicate nei miei libri, e le mantengo e le manterrò in faccia a tutti.

presidente. La parola è al signor deputato Ruggiero.

ruggiero. Ho sentito a ragionare con molta facondia, intorno al progetto di legge di cui si tratta, in vario senso, sia relativamente alla modificazione del numero d’ordine da secondo in primo, sia riguardo alla formola per grazia di Dio.

Io sosterrò che la formola più adatta e più acconcia alla espressione del fatto avvenuto sia quello di Vittorio Emanuele I, per la grazia di Dio e per la volontà della nazione, re d’Italia.

Dalla numerazione presentata nel progetto di legge io scorgo un falso concetto che nella mente del guardasigilli si è formato della rivoluzione italiana, poichè nel primo paragrafo di questo progetto di legge egli dice che la legge in virtù della quale Vittorio Emanuele II ha assunto, per unanime voto del Parlamento, il titolo di Re d’Italia, gettò le basi di un nuovo diritto pubblico, affermando costituita l’unità della nazione e dichiarando trasformato ormai l’antico regno dell’augusta Casa di Savoia nella monarchia italiana.

Ora a me pareva da principio un problema questo, del