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Canto sesto 119


Nè tra ’l vulgo, onde prima ebbe alimento,
     Restò la fiamma circoscritta e chiusa,
     Ma più d’un ch’avea fama e fondamento
     La metallica n’ebbe anima fusa:
     Arso ne fu dell’erudito armento
     Il celebre pastor Testadifusa,
     Ei mirabile dotto, anzi vivente
     Archivio di dottrina utile a niente.

E tu pur nei precordi imi la face
     Bieca sentisti dell’insana Aletto,
     O Babilonio insigne, a cui la pace
     Perder fa spesso l’etimo d’un detto;
     Ma tanto è il tuo pensiero acre e sagace,
     Che alfin rintracci il perseguito oggetto,
     Come ghiotto porcel con ingegnoso
     Grugno discopre il tubero odoroso.
     
Struggibuco, dantista audace e dotto,
     Salir sente sul naso anch’ei la muffa,
     E benchè sia molto acciaccato e rotto,
     I denti arrota e fa gli occhiacci e sbuffa:
     Ah! se non avess’io questo fagotto
     Penduto innanzi, entrerei tosto in zuffa,
     Come quando provai che il giovinetto
     Alighieri soggiacque a ser Brunetto.