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atto terzo. — sc. v, vi. | 317 |
Un’altra veste.
Pacifico. Or va, e ritorna subito,
Chè qui t’aspetto.
Corbolo. Io veggo uscire Ilario.
SCENA VI.
ILARIO, CORBOLO, CREMONINO.
Ilario.Non sarà se non buono, oltra che Corbolo
V’abbia mandato, s’anch’io vo; chè credere
Io non debbo ch’alcun più diligenzia
Usi nelle mie cose, di me proprio.
Ma eccol qui. C’hai fatto?
Corbolo. Isaac e Beniamin
Dai Sabbioni1 ho avvisato: ora vô volgermi
A i Carri: quei da Riva2 saran gli ultimi.
Ilario.Che domanda colui che va per battere
La nostra porta?
Corbolo. È il Cremonino. (Oh diavolo,
Siamo scoperti!)
Ilario. Che domandi, giovane?
Cremon.Domando Flavio.
Ilario. Oh, quella mi par essere
La sua veste.
Corbolo. A me ancor: vedete simile-
mente la sua berretta. (Or ajutatemi
Bugíe; se non, semo spacciati.)
Ilario. Corbolo,
Come va questa cosa?
Corbolo. Li suoi proprii
Compagni avran fatto la beffa, e toltosi,
Credo, piacer d’averlo fatto correre.
Ilario.Bel scherzo in verità.
Cremon. Mio padron Giulio
Gli rimanda i suoi pegni, e gli fa intendere
Che quel suo amico...
Corbolo. Che amico? Odi favola!
Cremon.Quel che prestar su questi pegni...
- ↑ Vedi a pag. 298, ver. 12 e no. 2.
- ↑ Il banco dei Carri e quello da Riva erano banchi da prestiti occupati allora da Ebrei. — (Molini.)
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