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334 carminum

     Moribus?1 At ducibus, Dii, date digna malis.
Quorum quam imperium gliscente tyrannide tellus
     Saturni Gallos pertulit ante truces;
Et servate diu doctumque, piumque Marullum,
     Redditeque actutum sospitem eum sociis:
Qui poterit dulci eloquio, monitisque severis,
     Quos Musarum haustu plurimo ab amne tulit,
Liberam, et immunem (vincto etsi corpore) mentem
     Reddere, et omne animo tollere servitium.
Sit satis abreptum nuper flevisse parentem:2
     Ah grave tot me uno tempore damna pati!
Tarchoniota3 aurâ ætheriâ vescatur, et inde
     Cœtera sint animo damna ferenda bono.
Scin verum, quæso? scin tu, Strozza? eia age, fare:
     Maior quam populi Strozza fides tua sit.
At iuvat hoc potius sperare, quod opto: Marullum
     Iam videor lætâ fronte videre meum.
An quid obest sperare homini dum grata sinit res?
     Heu lachrymis semper sat mora longa datur.




VII.

AD PANDULPHUH AREOSTUM.4


Ibis ad umbrosas corylos, Pandulphe, Copari,
     Murmure somnifero quas levis aura movet.
Me sine sub denso meditabere tegmine carmen,
     Dum strepet æolio pectine pulsa chelis.


  1. Sentenza tristemente degna di considerazione; come tutto il componimento è da riporsi tra i più passionati e più belli del nostro poeta.
  2. Niccolò Ariosto, padre dell’autore, era morto (secondo il Baruffaldi) nel giorno 10 febbrajo di quello stesso anno. Vedi il carme XVI di questo stesso Libro, e il IX del Libro terzo.
  3. Parrebbe da questo epiteto, che il Marullo, benchè creduto greco, fosse nativo della Georgia, anzi del Daghestan.
  4. Pandolfo, figlio di Malatesta Ariosti, era cugino in secondo o terzo grado di Lodovico; nè soltanto la parentela, ma la somiglianza dell’età, del genio e degli studî strinsero gli animi d’ambedue col nodo della più costante e tenera amicizia. Questo e il seguente componimento mostrano com’esso giovane assaporasse non solo le latine lettere, ma si dilettasse ancora di poesia. — Così, presso a poco, il Baruffaldi (op. cit., pag. 66-67). — Giova qui ricordare anche i versi 217 e seg. della Satira VII, e il Sonetto XXIX, colla nota ad esso soggiunta.