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498 concetto storico, civile e morale

sono ne’ menomi suoi traslati compiute, come lavoro di cesello, e moventisi quasi enti vivi. Niso, per salvare il guerriero diletto, grida ai nemici: «Me, me! son io qui, io che lo feci: volgete in me il ferro; mio è tutto l’inganno: questi nulla osò nè potè; testimone questo cielo e le conscie stelle»1. Degli umani errori e dolori alle stelle egli dà coscienza; e la ripensare quello del cantico: Le stelle, tenendosi nell’ordine e nel corso loro, contro Sisara combattettero2. L’esule, ringraziando dell’ospitale accoglienza, invoca sulla regina infelice degni premii dagli Dei, dalla giustizia degli uomini, dall’anima di lei stessa conscia a sè de’ suoi retti intendimenti3. Il vecchio Alète, nell’udire la profferta dì Niso e d’Eurialo al cimento di morte, esclama: «Dei della patria, sotto la cui difesa ella è sempre, no, voi non volete spegnere la gente de’ Teucri, se giovani avete formati di tale coraggio, anime tanto fedeli». E pon loro la mano sua sulle spalle, e per mano li prende, e sulle gote ha le lagrime. Vultum lacrymis atque ora rigabat. Lagrime di tenerezza e di gratitudine e di venerazione alla prode pietà di que’ giovanetti discendono dalle gote sin là onde col respiro gli escono le parole4. E intenerito soggiunge: «quali, o prodi, per tal valore, quali premii stimerò io si possano rendere a voi? I premii più belli daranno in prima gli dèi, e gli stessi atti vostri».


IV.


Eurialo mi rammenta sua madre, e le preghiere che volge il figliuolo per essa andando alla battaglia e alla morte; ghiere che Omero non potevano esprimere nè immaginare di tanta pietà. E così Andromaca è in Omero più moglie e

  1. E. 9.
  2. Cantico di Debora.
  3. E. 1.
  4. E. 9. Vultus ora non è pleonasmo per fare l’esametro; e Dante forse lo sentiva, scrivendo, Inf. 23: Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, Quant’i’ veggio, dolor già per le guance? E Purg. 17: Con quell’acque Giù per le gote, che ’l dolor distilla Quando per gran dispetto in altrui nacque