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della poesia di virgilio 497

humanae, mortalis in unum Quodque caput, vultu mutabilis albus an ater1, dove, per altro, un genio e posto reggitore d’ogni astro, come nell’Allighieri: Fece li cieli, e che lor chi conduce2. - Lo moto e la virtù de’ santi giri.... Da’ beati motor’convien che speri3. Più spirituale in Virgilio sempre la vita: Dum memor ipse mei, dum Spiritus hos reget artus4, meglio ancora che in Dante Se lungamente L’anima conduca Le membra tue5. E Dante stesso in altro senso: Che fece me a me uscir di mente6; ma ben più nobile è il dare la coscienza di se medesimo per conducitrice alla vita. Del resto, sempre il corpo animato e lo spirito animante distinti: Quae luctantem animam nexosque resolveret artus7; e non solamente distinti, ma la facoltà interiore impaccio all’altra e pericolo: Quantum non noxia corpora tardanti Terrenique hebetant artus moribundaque membra8. Qui non solamente la salma terrena è contrapposta alla celeste origine, e rintuzza l’igneo vigore, ma ne’ corpi è un fomite nocente che tarda lo spinto ne’ suoi moti, gli è quello che il linguaggio cristiano dice con altra immagine scandalo. E le moribonde membra non è posto a caso; significa più che mortali; vale che dai primordii della vita terrena incornicia l’avviamento alla morte, che tutta questa prova è una più o men dolorosa agonia. Ma la vita seconda è vita di purificazione, ove le anime son dalla pena esercitate, e quisque suos patimur manes, ciascuno soffre dell’aver malamente esercitate le proprie potenze (per ritornare alla sopraccennata interpretazione di manes), o non pienamente esercitate.

Virgilio pertanto, anzichè soffocare nella massa del tutto la coscienza degli spiriti, nella contemplazione del tutto unite insieme e distinte moltiplica le coscienze. E quindi le personificazioni che, avvivatrice e sempre risorgente bellezza,

  1. Or. Ep. 2, 2.
  2. Inf. 7.
  3. Par. 2.
  4. E 4.
  5. Inf. 10.
  6. Purg. 8.
  7. E. 4.
  8. E. 6.