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della poesia di virgilio | 493 |
che è nel sesto delle Egloghe, nel sesto dell’Eneide non a caso ritorna; e di tutti i viventi si dice: Igneus est ollis vigor et coelestis origo Seminibus. Ovidio stesso in forma men sapiente e meno elegante: Non bene junctarum discordia semina rerum1. Ma questo delle origini primordiali era pensiero che al poeta esaltava e affaticava la mente. Oltre ai due luoghi accennati, nelle Georgiche2 prega che le muse, sua dolcezza suprema, lo accolgano, e gli mostrino le vie del cielo e le stelle, e le arcane corrispondenze che corrono tra i moti degli astri e i terrestri rivolgimenti. E il poeta che canta alla mensa ospitale della regina infelice, canta il giro degli astri, e donde "le specie degli uomini e degli animali, donde le pioggie e la fiamma, donde la misura de’ tempi3.
II.
Il panteismo moderno, che toglie al ragionamento solidità e lo aggira in un vano aereo, e con la fumosità della materia spegne fino i bagliori della fantasia, e chiude le altezze dell’infinito per travolgerci negli abissi dell’indefinito, non poteva essere il panteismo di tale poeta. A lui tutto è pieno dì Giove, ma Giove è il principio, egli ha in cura le cose e le opere della mente4. Anco gli animali hanno haustus aethereo, segnatamente que’ che dimostrano più intelligenza, hanno parte della mente divina5; ma parte è qui da intendere come in Orazio l’amico è parte dell’anima6, come in Properzio Non son qual fui, perì di noi gran parte7: le cose attingono alcun che degli attributi divini; Dio non è una cosa, le cose. Deum ire8 è idea di moto, e discerne il