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fra venezia e ravenna 409

ed al podestà di Mantova rimase prigione. Non è poi certo come ne scampasse, leggendosi in alcune scritturo che si riscattò con una grande quantità di danaro fatto venire da Ravenna, ed in altre che Oberto Pallavicino divenuto signore di Padova dopo la morte di Ezzelino lo ritrovò tuttavia in catene, e che non valendo neppure le lettere del papa a farlo liberare, egli ajutato dai suoi fedeli riuscisse a fuggire notte tempo a Mantova.

Il Salimbene dice che Ezzelino usò ogni maggiore cortesia a Filippo, e che questi col soccorso di certo Gerardo da Reggio, che poscia fu fatto cardinale cioè canonico di Ravenna, calato dal carcere con una fune, uscì di mano al tiranno.

Ad ogni modo l’impresa ebbe fine con la rotta di Ezzelino presso il ponte di Cassano. Portato a Soncino, prigione e ferito, in mezzo agli attoniti sguardi delle genti accorse a vedere in ceppi l’uomo tanto aborrito e temuto, gli venne per modo in fastidio la vita che affrettò la morte strappandosi le bende o la cercò più pazientemente lasciandosi venir meno dalla fame.

E come Attila è rimasto l’archetipo di que’ rapaci condottieri dei barbari che discesero a guastare le terre d’Italia, così nella memoria di Ezzelino abbiamo la più viva immagine dei tiranni della età di mezzo, il simbolo della ferocia.

Che d’Attila dirò? che dell’iniquo
Ezzelin da Roman?

Ezzelino immanissimo tiranno
Ohe ha creduto tìglio del dimonio
Farà troncando i sudditi tal danno
Che pietosi appo lui stati saranno
Mario, Silla, Neron Cajo ed Antonio;


dice l’Ariosto. E fu già chi ne’ tormenti co’ quali Dante affligge i dannati trovò qualche reminiscenza di quelli